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Stiamo per entrar Marzo. Storie locali per sdrammatizzare il Corona-momento.

Tutti gli anni l’ultimo giorno di Febbraio mi viene sempre alla mente, e forse anche ai miei compagni e compagne nate negli anni ’60, la stessa scena: io che quattordicenne, assieme ad altri amici anche molto più grandi, rigorosamente di genere maschile, andavamo per le vie del paese trascinando rumorosi barattoli sull’asfalto e cantando alle finestre delle ragazze. Potenziali fidanzate che ciascuno di noi via via indicava. Una sorta di google maps con tappe sotto le finestre delle fanciulle a cantar serenate personalizzate.

Un rumore assordante che gli abitanti storici del paese conoscevano bene e, sorridendo, aprivano le finestre per salutare. Forse pensando a quando loro, solo se maschi, facevano le stesse cose.

Le ragazze, quelle non si affacciano. Forse lo avrebbero voluto. Chissà. Ma sicuramente ascoltavano. Non potevano non farlo, vista l’intensità del rumore e delle canzoni dedicate proprio a loro. E a nessun’altra.

L’aria della musica è molto semplice; qui ripresa da un libro sulle “cante” d’amore dei nostri territori (tratta dal libro “Identità vocale e musica di tradizione orale: un itinerario di riflessioni” di Teresa Camellini – Il Segno Gabrielli Editori, 2006 – 63 pagine. A questo link una sintesi):

E, ovviamente, i nomi sono personalizzati, sia per le ragazze sia per i ragazzi. Sono tantissimi i racconti di questa particolare serata. Dal vicino San Giovanni Lupatoto, a questo link, per arrivare ad Arcole, a questo link.

Si tratta delle cosiddette osade de marzo, conosciute anche col nome maridar le butele. La forma è sempre la stessa: semo qua par entrar marzo su questa tera / a maridar na bela butela / Ci ela ci no ela. 

Tradizione che era presente in tantissimi paesi del Veneto. Una manifestazione tra le più vive. Era il risveglio della terra dal sonno d’inverno, cantata anche da Berto Barbarani, poeta veronese, che la descrive in Almanacco Veneto del 1915.

Si tratta, coem spiegato a questo link,

Il 1° marzo nella storia della Repubblica Veneta era considerato il capodanno e veniva celebrato col ciamar marso. Inizialmente il primo giorno dell’anno era fissato il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia e giorno dell’annunciazione del Signore ma per comodità di calcolo fu spostato al primo giorno del mese.
Il ciamar marso, brusar marso o batar marso risulta essere quindi una tradizione antica legata a riti pagani di inizio stagione, celebrati per evocare il risveglio della natura, di propiziare la fertilità e l’abbondanza. In queste feste vi era un vero e proprio “fidanzamento pubblico” che si sviluppava in diversi modi. Il termine batar marso deriva dal rito compiuto per lo più dai ragazzini che nei giorni del Capodanno correvano per il paese battendo violentemente bussolotti, lamiere, pentole e coperchi con lo scopo di far più rumore possibile per ridestare la natura dal periodo invernale.

Eccoci quindi entrati in Marzo. Senza la nebbia di quelle sere, senza il gruppo di maschi che andava per le strade di notte (i gruppi ora sono vietati dal corona-tempo), senza la canzone dedicata alla fanciulla del cuore.

Siamo entrati in Marzo, così, come vuole oggi la società. Senza clamori, come se fosse una cosa ordinaria, senza ardore, senza ironia e, forse, senza l’entusiasmo per l’amore.

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