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Da “quanto durerà” a “perché i centri commerciali sono aperti?” Domande a noi Amministratori-Avengers, ai tempi del Corona virus.

Le persone che vivono le emergenze hanno bisogno di sentirsi ascoltate ed avere risposte dagli interlocutori. Anche alle domande retoriche. Questo significa essere responsabile. Prima di rispondere alle due domande del titolo devo fare una premessa.

Premessa

I Sindaci dei Comuni italiani stanno facendo gli straordinari. Rincorrere le disposizioni che ogni due giorni vengono emanate a colpi di DPCM, Circolari Ministeriali, Lettere dei Prefetti, Indicazioni Presbiteriali, dati del contagio, note di categoria non è per nulla facile. Nemmeno per gli Avengers.

Il tutto è immerso nel tipico contesto italico: agenzie di stampa che battono ore prima indiscrezioni delle nuove disposizioni, bozze di circolari che non-sai-se-poi-saranno-le-stesse, circolari da interpretare.

Ma nel contesto italico ci siamo anche noi abitanti del Bel Paese, che già in tempi normali diamo la colpa all’arbitro se la squadra perde e pensiamo che i politici, quando va bene, sono corrotti o, infine, pensiamo che se fossimo noi “là” sapremmo come fare, altroché!

Al proposito, oggi 8 marzo, festa della donna, rilevo che:

  • il Governatore della Sicilia impone la quarantena fiduciaria per chi viene dal Nord.
  • idem la Basilicata
  • la Puglia ci sta pensando
  • idem la Campania
  • Zaia, Regione Veneto, dichiara che fino ad ora ha assecondato le linee governative, ma adesso dissente sulle zone rosse di Padova, Treviso e Venezia

Andiamo in ordine sparso, dissentiamo (costituzionalmente è previsto, tranquilli), ma creiamo confusione nella persona italica comune: chi ha ragione chi torto? In assenza della risposta, ognuno fa quello che può (e che vuole).

Ad alcune domande dei cittadini e delle cittadine, ad ogni modo, nessuno dà risposte certe: quanto durerà il contagio? è la prima domanda, visto che di settimana in settimana viene aggiornata la data di durata delle disposizioni di quarantena. Poi ci sono le domande apparentemente retoriche: le Chiese chiuse, ma non i centri commerciali, perchè?

Prima domanda: quanto durerà il contagio

Seguo i giornali internazionali. Ormai ci sono abbastanza dati per ipotizzare alcune risposte.

Dalla Cina, dove tutto è iniziato ma dove tutto ha avuto vincoli rigidi di quarantena (per esempio, città da 12 milioni di abitanti in quarantena da un giorno all’altro senza proteste), ecco alcuni grafici (tratti da https://www.bbc.com/news/world-51235105):

Il picco, con quei vincoli strettissimi, è arrivato dopo un mese e tre settimane dall’inizio del contagio. E’ ipotizzabile che siano altrettanti per la fase di riequilibrio? E’ realistico. Quindi, in totale, in Cina, quasi 4 mesi per ritornare alla normalità. In realtà guardare all’andamento di un’epidemia è un modello matematico non facile, ma chiaro e studiato. A questo link ad esempio un recente modello matematico dell’università di Trento proprio sul Corona Virus.

Da noi in Italia? I vincoli cinesi ci sono stati solo parzialmente e su misura ridotta. Solo ora si sta agendo su meccanismi simili. Il primo caso in Italia è del 21 febbraio. Con il modello cinese significa arrivare a fine giugno per la fine. Ma in Italia i vincoli sono diversi, le condizioni diverse rispetto alla Cina. Fino ad ora, comunque, non c’è traccia di un picco nel nostro Paese, a tre settimane dall’inizio. Ad ogni modo, entrando in primavera, le temperature aiuteranno ad eliminare il Virus che non regge quando sono sopra i 24 gradi. Quindi, speriamo in una primavera calda?

Seconda domanda: Chiese chiuse, Centri Commerciali aperti, perchè?

So che queste riflessioni potranno essere criticate. Che fare? Rinunciare al confronto? La domanda mi è stata posta da più di una persona e sottrarsi alla risposta non è responsabile.

Il mio paese, Lugagnano in provincia di Verona, ha una storia simile a tanti altri. Venti, venticinque anni fa si sono installati grandi centri commerciali nei dintorni. Roba da decine di negozi con ipermercati extralarge. Questa concentrazione di opportunità e prodotti ha via via inesorabilmente ridotto all’osso i supermarket di paese. In un paese come il mio, 9000 abitanti, giusto ci sono 2/3 alimentari piccoli.

Questa premessa per dire cosa? Se improvvisamente le 4000 famiglie del mio paese, che hanno bisogno di una spesa quotidiana di 4/500 grammi di pane, un litro di latte, 100 grammi di affettato, 2/300 grammi di pasta, un vasetto di sugo, due uova… si recassero nei 2/3 alimentari presenti, cosa troverebbero?

Qualche decina di clienti e il commesso dovrebbe dire che ha finito i prodotti e una fila interminabile perché ci vuole tempo per fare e dare la spesa.

Entrambi i casi conducono a due constatazioni: prima, non abbiamo un tessuto commerciale che può fare a meno di centri commerciali in alcune zone, frutto di decine di anni di adattamento alla loro presenza. E, seconda constatazione: chi di noi ha la pazienza di attendere un paio di ore per avere mezzo chilo di pane? Siamo abituati all’efficienza, al non stare in fila, al tempo che non è mai abbastanza.

La chiusura di centri commerciali ci porterebbe alla scarsità o meglio all’assenza di prodotti e all’inevitabile modifica istantanea del nostro modo di gestire il tempo. Sarebbe una rivoluzione sociale, alimentare e personale che non sapremmo gestire, oltre all’emergenza che già c’è con la richiesta di tenere un’adeguata distanza, quindi contesti grandi e impersonali sono funzionali.

Conclusioni? Forse.

Sono le emergenze che mostrano gli estremi in ogni cosa. Viviamo in un Paese, l’Italia, che sa gestirle, che ha uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, che ha gente – noi – capace di rimboccarsi le maniche e tirarsi su sempre. E’ il momento di darsi da fare, molto, fare Comunità e fidarsi. E l’Italia lo sta facendo, in modo responsabile.

Non appena l’emergenza finirà torneremo a salutarci con una stretta di mano, ad abbracciarci e a scambiarci il segno della pace in Chiesa, seduti vicini.

Per chi vorrà

Copertina: tratta da WeTransfer

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