Noi padri 2.0 non (ancora) capaci di gestire le emozioni. Dei figli.
Nelle tante conferenze cui ho partecipato sul tema adolescenza, in quanto direttamente coinvolto, spesso ho sentito che “Le madri mettono al mondo i figli, i padri gli uomini (e le donne)”. Ho ammirato la sintetica saggezza che sta nella frase. Ma dopo aver letto l’articolo di oggi sul Corriere ho cominciato ad insospettirmi. In “Noi padri e l’algoritmo delle emozioni”, il giornalista Massimo Sideri con un pezzo molto leggibile arriva a documentare che i genitori-maschi (al secolo “i padri”) sono a metà del guado: si sono evoluti dalla generazione precedente (di padri, dove-il-no-era-no-e-basta) a quella di oggi (di padri, dove-argomentare-un-no-equivale-a-scrivere-un-saggio-di-filosofia). Ma non è sufficiente, perché ci manca una cosa: saper gestire le emozioni dei figli.
“La buona notizia (la fonte è una donna, dunque attendibile) – afferma Sideri – è che stiamo imparando (come padri): la terapeuta dell’adolescenza Stefania Andreoli dopo aver scritto il facile «Mamma, ho l’ansia» si è addentrata per Bur Rizzoli su un tema molto più spinoso: «Papà, fatti sentire. Come liberare le proprie emozioni per diventare genitori migliori» (qui un lungo estratto). Scrive la Andreoli: «Abbandonato lo stile autoritario, i padri di oggi cambiano i pannolini (fatto, ndr ), giocano con i figli (fatto, ndr ), passano del tempo libero con loro (fatto!! ndr ). Ma allora perché il loro modello è ancora percepito come fortemente in crisi?».”
Perché siamo ancora in crisi? In effetti, non lo diciamo alle madri, ma siamo in crisi. Tremendamente in crisi. Da un lato ci consideriamo padri 2.0, dall’altra vediamo la naturalezza delle nostre compagne nella gestione emotiva dei figli (e delle figlie).
La Andreoli argomenta bene la differenza madre-padre. “Una mamma non è mai fuori luogo – dice – perché è essa stessa luogo: prima casa, poi presidio del primo amore e del dolore, poi anche rifugio e infine anche assenza. La caratteristica precipua delle madri dunque è l’essere: non hanno bisogno di alcuna investitura, mandato, autorizzazione, definizione. Esse sono affinché l’altro sia”. E per il 75% dei padri, la figura di riferimento è la madre, in barba alla mia iniziale affermazione che sono i padri a mettere al mondo gli uomini. “Sono” forse è “dovrebbero”, minimo.
Minimo, poi, i padri non sono “mammi”, questo sia chiaro, asserisce sempre la Andreoli (e io qui tiro un sospiro di sollievo). Non sono un mammo, so cosa posso fare, ma cosa devo divenire? Ancora non lo so. Per dare questa risposta c’è bisogno di tempo (molto tempo, generazioni).
“Ora i papà non hanno ancora decostruito il modello di chi li ha preceduti – afferma l’autrice – quello patriarcale (i no-sono-i-no-punto e le emozioni le gestisce la mamma) e non ne hanno ancora aggiornato la versione nuova”.
Noi padri abbiamo solo una scusante: da pochi anni tentiamo di evolverci, ma scontiamo milioni di anni in cui siamo stati così fino a pochi anni fa.
Ora ci sono solo due modi, da come la vedo io, di evolvere: provare a sbatterci la testa a costo di imbarazzi ed umiliazioni (che si dice ad una figlia che ha incontrato il primo amore??), oppure affidarsi alla lentezza del tempo così che un neurone alla volta, fra un milione di anni forse evolviamo.
Pur nell’imbarazzo preferisco il primo approccio: voglio vedere l’effetto che fa. Da padre.
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