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Ti chiederò come va. Mentre piove.

E’ uno di quei giorni dove la pioggia d’autunno ruba il colore del mondo.  Con i suoi tempi ritmati, il suo rumore soffuso, la sua lentezza. E’ anche uno di quei giorni dove ci si sente più soli, ma più profondi, più dentro di sé.

Forse per questo non ho risposto “non c’è male, grazie” a chi dall’altra parte del telefono mi chiedeva “come va?”. Ho invece cominciato a raccontare. Ho raccontato me stesso, la mia storia, le emozioni che provavo. Una parola dietro l’altra. Un minuto dietro l’altro. Non so perché l’ho fatto. Stavo passeggiando, e pioveva. 

Chissà cosa avrà pensato il mio amico. Forse gli ho rubato troppo tempo. Tempi particolarmente intensi, i nostri. Le cui scelte di priorità ci fanno investire in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma anche concentrare su chi ascoltare e chi no. Non era preparato il mio amico ad ascoltarmi. 

Forse non ero preparato nemmeno io a raccontargli.

Ma alla fine del mio raconto mi sono sentito dire “grazie”.

“Grazie di cosa?” chiesi. “Per il tuo racconto, perché non credevo avessi così tanto da dire, perché ti ho capito di più, perché è stato bellissimo ascoltarti”.

Forse sarà stata la lentezza della pioggia. I ritmi si abbassano e si riesce a parlare e ad ascoltare di più. E “come va?” è una storia da raccontare e da ascoltare. 

Anche non solo mentre piove.

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