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#25APRILE: qualcuno ci ha regalato il futuro dell’Italia

Sono passati 71 anni da quel 25 aprile 1945 quando l’Italia si liberò.

Non fu il 25 aprile dappertutto; a Lugagnano, ad esempio, c’è una strada intitolata al “26 aprile”. Quel giorno arrivò la liberazione da noi. Poco importa, comunque. Quel che conta fu la liberazione, giorno più giorno meno.

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(foto da http://www.produzionidalbasso.com)

Ho letto sul corriere del 24 aprile 2016 un bellissimo articolo di Aldo Cazzullo. Uno di quegli articoli che tutti dovremmo avere – si può dire fotocopiati senza incorrere in reati? – a disposizione sempre. Cazzullo parte dalla considerazione che la liberazione fu un atto giusto, fu giusto combattere l’invasore: tutti i Paesi lo credono, non ancora nel nostro. Come se fosse patrimonio solo di una fazione, non della Nazione.”

Un atto di coraggio e un atto prezioso quello di combattere per la liberazione: atto coraggioso per la ribellione ai bandi di arruolamento, atto prezioso perché quello fu il momento di nascita della democrazia di suffragio universale, con il voto alle donne del ’46.

Dopo il 25 aprile 1945 ce la siamo scritta noi la Costituzione, a differenza di altri Paesi come il Giappone dove fu scritta praticamente dagli Stati Uniti. Se ci basiamo sugli effetti del 25 aprile, che ora diamo per scontati – Libertà, Voto, Costituzione, Democrazia -, “allora perché è ancora difficile riconoscere i valori e le conquiste della Resistenza come patrimonio comune?” si chiede Cazzullo.

Molti hanno avuto un padre o una madre, un nonno o una nonna dentro le questioni della Resistenza, chi da una parte chi dall’altra o forse in apparenza neutrali. Il mio, di nonno, che non ho mai conosciuto, è morto per fuoco alleato a Sona. Starne fuori del tutto, quindi, è molto complesso.

Ma “c’è ancora un altro fattore che rende difficile riconoscersi nella Resistenza: l’uso di parte che se n’è fatto” scrive Cazzullo.

Continua Cazzullo: La Resistenza è considerata spesso una “cosa” di parte, ma la composizione dei partigiani era talmente eterogenea nel loro credo politico e nelle professioni oltre che nei generi che è difficile darne una connotazione uniforme: i partigiani erano anche monarchici, cattolici, preti, militari, anarchici, socialisti, ragazzi che di politica non volevano saperne nulla. Erano operai che boicottavano le fabbriche oppure ferrovieri che rallentavano i treni, oppure medici che firmavano certificati falsi. Tutti erano consapevoli che potevano pagare un prezzo molto alto”.

Tutti mescolati per liberare l’Italia da Hitler e Mussolini, perché quello che contava era l’Italia, non la politica.

Ma la Resistenza fu condotta anche dalle donne. Spesso nascoste, ma che nel frattempo tessevano la grande tela di relazioni capaci di dare solide basi alle azioni della Resistenza.

Alto l’esempio che riporta Aldo Cazzullo su Cleonice Tomassetti che disse ai torturatori “se volete mortificare il mio corpo, è superfluo farlo, esso è già annientato; se invece volete uccidere il mio spirito, quello non lo domerete mai” o le altre storie di suore e di donne deportate per essersi esposte in prima persona. Enrica ad esempio, donna deportata che dà coraggio a chi resta. Di ritorno dal campo di concentramento, dov’era finita, scrive che “giorni luminosi ci attendono”. Ironizza Cazzullo che “eravamo più di buon umore 71 anni fa che oggi”.

Il 25 aprile di ogni anno celebra quello che ora siamo.

Un festa per ricordarci che qualcuno, al di là dei partiti e dei colori, ci ha regalato il futuro dell’Italia.

 

(Il libro di Aldo Cazzulo che racconta la resistenza: “Possa il mio sangue servire” )
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