Se vuoi essere felice da adulto, non chattare troppo da adolescente. Genitori (e insegnanti) all’erta.
Conclusione di tutto: se si vogliono futuri cittadini adulti a loro agio con la vita, meglio limitare l’uso dei social da adolescenti. In questi mesi si stanno moltiplicando i risultati degli studi con lo stesso tema: l’uso (l’abuso, talvolta) dei social da parte dei ragazzi, a cosa porta? Difatti, per produrre uno studio serio in pedagogia servono anni, e se si pensa che Facebook è nato nel 2004, e che l’iPad è del 2010, allora si comprende perché solo in questi ultimi periodi si pubblicano ricerche a riguardo.
In questo post vorrei sintetizzare un recente studio (Dicembre 2016, 43 pagine, inglese) dal titolo Social Media Use and Children’s Wellbeing che è concentrato su un campione rappresentativo di ragazzi inglesi dai 10 ai 15 anni.
Primo punto: perché si vuole analizzare quella fascia di età? Perché ormai tutti gli studi riportano che dai comportamenti che si hanno in quel periodo della vita si riesce a capire come sarà l’età adulta. E, purtroppo, lo studio che stiamo analizzando rivela subito la conclusione:
“We show a substantial negative association between time spent socialising via social media sites and satisfaction in four of the five domains, as well as life overall”.
In sostanza, più si passa tempo sui social minore è la soddisfazione in molti aspetti della vita.
Prima di tutto, essere costantemente nei social influenza il confronto e porta a renderlo negativo, poiché ciascuno di noi “posta” una versione idealizzata di se stesso, e questo continuo confronto alla lunga può ridurre l’autostima.
Altro aspetto è la differenza tra esperienze virtuali (sui social) e reali:
“…only increases in the number of ‘real’ friends increase’s subjective wellbeing, and this effect remains after they control for income, demographic characteristics and personality traits.”
Anche qui, si delinea un principio: le esperienze reali permettono un benessere maggiore.
Il terzo aspetto dell’uso dei social media è chiamato “cyberbulling“: chi sta nei social prima o poi sperimenta il concetto di bullismo virtuale e, se si è nella fascia d’età della crescita, questo mina l’autostima in modo anche pesante tanto che rimane anche nell’età adulta, con notevoli problemi sotto molti punti di vista.
E purtroppo la questione è che, molto spesso, chi ha necessità di relazionarsi perché vive una scarsa autostima e vuole combattere la solitudine, si rivolge ai social piuttosto che alle relazioni reali (molto più complesse e meno immediate). Insomma, un cane che si morde la coda, perché ciò porta, in questi soggetti, a diminuire ancor di più l’autostima, e via di questo passo.
Lo studio vuole capire qualcosa di più specifico per quanto riguarda gli adolescenti, in particolare: la scuola, la famiglia, gli amici e la vita in generale. E i risultati sono interessanti e scoraggianti.
Se si correlano gli aspetti sulla scuola, la famiglia, gli amici e la vita in generale con le ore passate sui social, ne esce una quadro anche qui molto fosco.
“time spent chatting on social networks is negatively associated with how children feel about their school work, appearance, family, school attended and life overall, but it has no significant association with how they feel about their friends”
Cioè, i ragazzi e le ragazze vivono negativamente la scuola, la famiglia e la vita in generale se stanno sui social media, mentre non vi sono variazioni sensibili per quanto riguarda gli amici. E c’è un numero:
“spending an hour a day chatting on social networks reduces the probability of being completely satisfied with life overall by approximately 14 percentage points.”
Vi è ben il 14% di riduzione della probabilità di essere a proprio agio nella vita. E lo studio termina così:
“These are important findings given the central role of social media and social networking in children’s lives, and the fact that childhood wellbeing has been shown in previous research to have persistent effects into adult life. Our results suggest that interventions to limit social media uses during childhood may help to improve wellbeing.”
In pratica, se si vogliono futuri cittadini adulti a loro agio con la vita, meglio limitare l’uso dei social. La preoccupazione è che molti studi indipendenti stanno portando tutti verso questo scenario: difficile pensare che tutti si stiano sbagliando. Agli attori educativi primari, genitori e insegnanti, serve sapere che un “no” ora in questo campo può probabilmente produrre un adulto più felice in futuro.
(Foto da http://kulraj.org/2015/11/30/social-media-and-happiness-the-unfortunate-truth/)
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